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Archivio dei comunicati stampa della Segreteria e della Categorie.
Il segretario generale della Cgil provinciale di Treviso, Paolino Barbiero, puntualizza la sua proposta sugli incentivi agli emigrati licenziati che scelgono liberamente di ritornare nel loro paese.
Penso vadano create delle opportunità, non a come liberarsi degli stranieri.
Barbiero, CGIL: "Con quei soldi qualcuno potrebbe decidere di ricominciare nel proprio paese e darsi una chance in più piuttosto di rimanere in Italia da disoccupato. Le polemiche? Forse perché l’idea è stata travisata.
I diritti e le opportunità devono essere uguali per tutti. La proposta della CGIL di destinare le risorse economiche previste dal Sistema di ammortizzatori sociali ai lavoratori collocati in mobilità è stata male interpretata da qualcuno, e da altri forse è stata strumentalizzata."
Così Paolino Barbiero, segretario generale della CGIL provinciale di Treviso, risponde alle critiche mosse alla proposta di dare incentivi, già previsti per tutti i lavoratori, a quei lavoratori migranti che volessero volontariamente ritornare nel loro paese d'origine.
Qualche polemica è nata da una interpretazione fuorviata rispetto all’obiettivo vero della proposta – ha spiegato Barbiero - dal momento che sono convinto che un lavoratore immigrato deve avere pari opportunità di un lavoratore italiano.
Quindi va da sé che FIOM, FIM e UILM, debbano adoperarsi per trovare un accordo con la De Longhi, al fine di garantire una prospettiva industriale del territorio per tutti. Su questo versante hanno già espresso un segnale di solidarietà il mondo della chiesa e della politica, dalle forze di governo a quelle di opposizione. La proposta di mettere a disposizione le risorse previste anche per i lavoratori migranti non vuole mettere discriminanti tra italiani e stranieri, né ha l’obiettivo di spingere i lavoratori extra Ue al rimpatrio, che sarebbe una strada divergente rispetto alla politica che la Cgil persegue sul tema dell’immigrazione.
Piuttosto con questa proposta ho voluto richiamare l’attenzione sulla questione degli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, contratti di solidarietà, part time, ricollocazione attraverso la formazione mirata, mobilità) che devono garantire le stesse opportunità a tutti.
Un lavoratore italiano o straniero collocato in mobilità, se intende avviare un lavoro autonomo, pu= chiedere un’anticipazione di quanto gli spetterebbe rispetto al periodo di copertura economica prevista dall’indennità di mobilità; è evidente che tale diritto spetta, con le stesse condizioni, anche ai lavoratori migranti che, volontariamente, potrebbero scegliere di intraprendere iniziative di lavoro nel proprio paese.
Sarebbe finalmente una concreta forma di cooperazione per lo sviluppo di quei paesi. Dovrebbe trattarsi di una libera scelta: stare in Italia con un anno di cassa integrazione, con la speranza, probabilmente vana, di tempi migliori, oppure scegliere di costruire qualche cosa di nuovo e di migliore, rispetto alla disoccupazione, nel proprio paese. Non credo si possa affrontare questo tema utilizzando un codice di lettura dettato da falsi e superficiali moralismi.
E’ un progetto che si fonda sul libero arbitrio di un lavoratore e per questo andrebbe valutato nel merito.
Naturalmente- conclude Barbiero- devono essere garantite le opportune verifiche sui flussi migratori, al fine di evitare speculazioni. Questo percorso, con le dovute garanzie e con interventi legislativi mirati, ha lo scopo di dare risposte concrete ai problemi occupazionali, che inevitabilmente, in un modo o nell’altro dobbiamo affrontare.
La proposta chiama in causa gli industriali e le imprese, che devono contribuire a rafforzare in maniera consistente, anche con risorse economiche proprie, uguali per tutti i lavoratori che non avranno garantite prospettive occupazionali. La storia ci insegna che molti dei nostri connazionali hanno sgobbato all’estero per accumulare risorse economiche e acquisire professionalità che hanno consentito loro di ricostruirsi una nuova vita al rientro in Italia. Qualcuno ha persino contribuito allo sviluppo dell’ormai spento mito del nord est. Potrebbe la storia ripetersi in qualche altro Paese e per qualcuno di questi migranti.
Gentile direttore,
la proposta da me formulata nei giorni scorsi, cioè dare un contributo/risarcimento economico ai lavoratori extracomunitari licenziati - anticipando loro la mobilità - che volessero ritornare al loro paese d’origine, ha ricevuto qualche apprezzamento e qualche critica, anche molto radicale.
Vorrei quindi approfittare per fare alcune precisazioni.
In primo luogo non credo di dover ribadire le posizioni che la Cgil ha in merito all’immigrazione, ai diritti degli immigrati, non ultimo quello al lavoro, e in merito alla pessima normativa Bossi-Fini.
La proposta di anticipazione della mobilità per i lavoratori stranieri licenziati che intendano far ritorno a casa muove da una semplice constatazione: il settore manifatturiere trevigiano sta attraversando una crisi profonda. Crisi di idee e progettualità, da cui deriva la spinta alla delocalizzazione anziché la tensione all’innovazione.
+ crisi occupazionale. La ricollocazione degli esuberi provenienti dal settore industriale e dalle piccole imprese appare difficile, anche perché, contrariamente al passato, non esistono vasi di compensazione, data anche la congiuntura non favorevole attraversata dall’artigianato e dal terziario.
Per molti di questi lavoratori in mobilità – italiani e stranieri - sarà, o sarebbe,necessaria una riqualificazione professionale profonda, quasi al livello di una ri-scolarizzazione.
Che fare sul fronte dei lavoratoti migranti?
Non c’è dubbio che le ricette all’insegna del “prima il lavoro agli italiani” sono inaccettabili.
Quando parliamo di lavoratori immigrati parliamo infatti anche delle loro famiglie, di individui da tempo in Italia e, nella stragrande maggioranza dei casi, soggetti perfettamente integrati nella nostra società. Ma parliamo anche di uomini che spesso sono arrivati da noi in cerca di fortuna, il cui orizzonte di vita non è la permanenza nel nostro paese, ma un periodo lavorativo sufficiente a guadagnare tanto quanto serve per tornare in patria e migliorare la propria condizione economica e sociale, come hanno fatto molti dei nostri padri e dei nostri nonni emigranti.
Sappiamo che, con la nuova normativa, il permesso di soggiorno è legato al possesso di un posto di lavoro (o allo stato di cassa integrazione) e che, se non si lavora, prima o poi si è costretti ad andarsene.
Sappiamo anche che la fase di mobilità potrebbe essere più breve del tempo necessario a trovare una nuova occupazione.
Che fare allora? Possiamo accontentarci di usare gli strumenti (a termine) di ammortizzazione sociale per persone che rischiano, prima o poi, di essere costrette ad andare via comunque? Queste persone sono disposte a correre il rischio?
Molti non lo sono. E infatti la proposta non nasce solo da un ragionamento astratto, ma coglie precise indicazioni che vengono proprio da questi lavoratori. L’ho già detto ma lo ribadisco: si tratterebbe di una scelta volontaria, non di una imposizione. Un lavoratore italiano in mobilità che intenda avviare una attività autonoma ha diritto all’anticipazione di quanto gli spetta nel periodo di copertura dato dagli ammortizzatori sociali. Possiamo immaginare uno strumento simile anche per quei lavoratori stranieri che liberamente scelgano di tornare al loro paese d’origine?
Credo sia sbagliato affrontare la discussione con un codice di lettura dettato da falsi e superficiali moralismi. E la proposta chiama in causa anche gli industriali che devono contribuire a rafforzare in maniera consistente gli incentivi con risorse economiche proprie, uguali per tutti i lavorati che non avranno garantite prospettive occupazionali.
La storia ci insegna che molti di nostri connazionali hanno "sgobbato" all’estero per accumulare risorse economiche e un bagaglio di know how per ricostruirsi una nuova vita al loro rientro in Italia. Qualcuno ha persino contribuito allo sviluppo dell’ormai spento mito del Nordest. Potrebbe la storia ripetersi in qualche altro Paese e per qualcuno di questi immigrati?
Paolino Barbiero _ Segretario generale Cgil Provinciale TrevisoL'aggressione oltraggiosa alla CGIL di Treviso si commenta da sè.
La Segreteria della CGIL di Treviso è amareggiata nei confronti di chi si nasconde dietro le scritte sui muri invece di dialogare apertamente e democraticamente per costruire soluzioni condivise per difendere collettivamente e individualmente i diritti delle persone che lavorano e dei pensionati.
I provocatori che cercano il consenso attraverso forme "invisibili" di presunta democrazia non hanno nulla da insegnare all’impegno della CGIL nella tutela quotidiana dei diritti sociali, contrattuali e di cittadinanza.
Il subdolo attacco ad una organizzazione sindacale, che si è sempre impegnata per affermare e far rispettare i diritti di tutti i lavoratori a prescindere dal paese di provenienza, è una provocazione che la CGIL respinge con forza.
La CGIL trevigiana fa appello a tutte le associazioni dei lavoratori migranti, alle istituzioni sociali e politiche per affermare i valori fondanti della Costituzione Italiana e invita le proprie RSU, gli attivisti e gli iscritti ad estendere la cultura del dialogo tra diverse opinioni ed a respingere tutte le forme di provocazione e di aggressione che minano la coesione sociale.
La Segreteria CGIL di Treviso _ Treviso, 26 gennaio 2005CAMERA DEL LAVORO DI TREVISO, Via Dandolo 4 - tel. 0422 4091 fax 0422 403731 | Risali la pagina |