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Archivio dei comunicati stampa della Segreteria e della Categorie.
Mi perdonerà Lorenzo Biagi ma non è affatto vero che al presidente della Provincia Muraro e alla Lega manchi la "grammatica". La grammatica ce l'hanno, i loro verbi li sanno coniugare, meglio se nella forma negativa. Semmai è il vocabolario a essere ristretto: pochi concetti, poca voglia di imparare nuove parole, nuovi verbi, nuove idee.
La grammatica non fa difetto e la loro schiettezza ci rende un servizio: grazie alla posizione assunta sulle sepolture da dare o non dare ai mussulmani, finalmente abbiamo capito tutti la differenza che passa fra chi chiede regole restrittive sull'immigrazione e chi invece ha semplicemente un atteggiamento ostile e intollerante nei confronti del diverso per religione, credo politico, valori morali o genere.
Hanno un bel discutere su questo giornale il professor Giavazzi, il governatore Galan, Bepi Covre e gli altri del futuro del Veneto, della svolta culturale e amministrativa che serve per immaginare una regione capace di crescere, svilupparsi, diventare un punto di riferimento in Italia e in Europa aprendosi al mondo; se da un lato il riferimento per la modernizzazione dovrebbero essere le grandi esperienze continentali e planetarie, le "best practices", come dicono gli esperti, su come governare e trarre benefici dalla globalizazione, è illuminante che un pezzo di Veneto, cioè la provincia di Treviso, metta in mostra una classe dirigente che ha, come modelli ideali, le battaglie di Lepanto e Vienna, la chiesa preconciliare, il paraocchi localista, l'integralismo cattolico degli atei devoti che vorrebbe farci credere che esista uno scontro di civiltà con l'Islam.
Per questi "A la guerre comme à la guerre!": e quindi i morti del nemico non si seppelliscono.
Confessa il presidente Muraro che la vicinanza di tombe islamiche ai "nostri" morti proprio non riuscirebbe a mandarla giù. E' una idea, un sentimento, che a me suona come la peggiore delle offese, l'ultimo sacrilego oltraggio al rispetto dell'altro, tanto più in occasione del più tragico e, per chi ha fede, terribilmente grandioso momento della vita: la sua conclusione.
Non ho difficoltà a immaginare le ragioni "intellettuali" per cui a coloro che si vorrebbe senza diritti in vita si debba precludere anche il diritto alla sepoltura. Faccio fatica invece a comprendere come questa classe politica arretrata e grezza, fatta di uomini senza compassione, possa davvero essere e sentirsi rappresentante dei trevigiani, gente che avrà pure i suoi bravi difetti ma a cui non si può, credo, imputare la propensione all'irragionevole crudeltà. Ha scritto Sandro Moser, nei giorni scorsi, che l'intolleranza e il rifiuto ci saranno restituiti dalle future generazioni di immigrati, quindi da futuri italiani, con la stessa moneta.
E' vero, ce lo dice l'esperienza. La violenza nella banlieu francese, quella nella suburbia di alcune città britanniche, persino la militanza di giovani mussulmani nati e cresciuti in Europa nelle fila dell'oltranzismo e radicalismo islamista sono anche il frutto di una integrazione incompiuta, imposta e non esercitata, normata ma non insegnata. E' la terza legge della termodinamica: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, fondamento delle fisica a cui non sfugge neppure la scienza sociale.
C'è una differenza sostanziale nel concepire l'immigrazione come un fenomeno da contingentare in flussi, nel sostenere che l'integrazione si basa soprattutto sul rispetto dei nuovi arrivati per le leggi e persino per i costumi del paese ospitante, e la una maleodorante xenofobia travestita da rispetto delle regole. Questa produce il disgustoso utilizzo di uomini e donne come lavoratori per le nostre fabbriche e per i nostri anziani con l'assunto che per loro e per i loro figli non esistano però diritti, produce l'infamia denunciata in questi giorni dagli immigrati che vengono nei patronati sindacali per espletare le procedure di rinnovo del permesso di lavoro, che raccontano del mercato mafioso dei nuovi trafficanti di carne che si vorrebbero farsi pagare per gestire una semplice pratica burocratica.
Infine, in pieno accordo con la xenofobia è lo schifo del celodurista diurno che di sera si trasforma nel puttaniere di turno che in macchina, lungo le strade della Marca, si carica le giovani extracomunitarie schiave del sesso: albanesi, bosniache, kossovare, corpi di donne mussulmane che evidentemente si meritano la violenza della copula a pagamento, ma giammai, quando sarà il momento, una decorosa e civile sepoltura.
Anche questo è il Veneto di cui ha dibattuto il professor Giavazzi. Anche questa storia delle sepolture è, ci piaccia o no, una risposta alle osservazioni dell'economista.
Ricerca dell'Ufficio Studi della Camera del Lavoro di Treviso Artigianato veneto, in 5 anni persi dodicimila posti di lavoro. Dal 2001 al 2006 occupazione in calo dell'8%. Diminuiscono del 2% le aziende con dipendenti. Soffrono in particolare ceramica, occhialeria e abbigliamento. Il segretario della Cgil di Treviso Barbiero: "Dati molto negativi, c'è il rischio di declino strutturale".
Mentre per quanto riguarda grande impresa il 2006 ha segnato una lieve inversione di tendenza rispetto alle difficoltà degli anni precedenti, per l'artigianato veneto negli ultimi dodici mesi si è confermato il trend verso il basso, contrassegnato dalla riduzione del numero di addetti e imprese con dipendenti, con un forte aumento dei licenziamenti dal 1999 a oggi.
E' questo il risultato di una ricerca condotta sull'artigianato regionale condotta dall'Ufficio Studi della Cgil di Treviso, che ha preso in esame il periodo 2001-2006, che ha però escluso il comparto dell'edilizia, sulla cui tenuta permangono preoccupazioni legate agli effetti dello sgonfiamento della bolla dei prezzi, sia nell'edilizia residenziale che in quella commerciale e industriale.
Secondo lo studio della Camera del Lavoro trevigiana, in cinque anni l'artigianato ha perso 12.166 addetti, passando dai 154.424 del 2001 ai 144.258 del 2006 con un calo dell'occupazione pari all'8%, mentre le aziende con dipendenti sono diminuite del 2%, passando da 33.688 a 33.048. Se in numeri assoluti i settori più in difficoltà sono la ceramica, l'abbigliamento e l'occhialeria, con diminuzioni della quota di lavoratori occupati e di imprese pari a circa un terzo del totale, è rilevante, per il numero complessivo di occupati e per l'importanza che giocano nel sistema produttivo regionale, la flessione del legno, che perde circa l'8% delle aziende e il 9,5% dei lavoratori, e del metalmeccanico, che registra un calo delle aziende dell'1,1% e una flessione occupazionale del 3,4%.
Scarsa la propensione del sistema artigianale regionale ad una riconversione verso posizionamenti più competitivi e a maggiore redditività; le categorie più dinamiche risultano infatti gli acconciatori ( +17% nelle imprese e + 19,9% degli occupati), gli alimentaristi (+26% le imprese e + 32% i lavoratori) e le imprese di pulizia (+47,7% le imprese, + 71,5% i lavoratori), dato questo che denota l'arretratezza e la ridottissima rilevanza di un segmento strategico come il terziario nel mondo dell'imprenditoria artigiana veneta.
Scendendo a livello provinciale, sul fronte dell'occupazione soffre in particolare Rovigo, che perde il 18,9% degli occupati. Segue Belluno con un -16,3%, quindi Treviso, con meno 11,4%. Per quanto riguarda il saldo delle imprese, il risultato peggiore è quello della provincia di Belluno con -10,6%, seguita da Rovigo con -7,9% e Treviso con -4,2%.
"Si tratta di indicatori preoccupanti, spiega il segretario provinciale della Cgil di Treviso Paoliono Barbiero, che indicano come nell'artigianato la fase negativa sia ancora in atto. Peraltro, nell'analisi storica sui dati relativi ai sussidi per licenziamento, si nota una curva crescente che parte nel 1999, con un trend che difficilmente potrà essere invertito nel 2007. Da questa ricerca emerge, tra l'altro, che l'artigianato non riesce più a funzionare come cassa di compensazione rispetto ai licenziamenti nella media e grande impresa. Anzi, si può dire che, almeno in parte, nel 2006 è funzionato un meccanismo esattamente opposto".
"Le ragioni della crisi del settore stanno principalmente nel posizionamento dei comparti, troppo di frequente schiacciati sulla sub fornitura e l'attività terzista verso le aziende industriali. Una volta entrata in crisi la media e grande impresa manifatturiera e per effetto anche delle delocalizzazioni, l'artigianato si è visto ridotto l'orizzonte".
"Temo, ha concluso Barbiero, che l'artigianato veneto mostri una inequivocabile vocazione all'inefficienza. L'assenza di un ragionamento di sistema sul riposizionamento produttivo, il fatto che non si affronti seriamente la questione delle dimensioni d'impresa attraverso un processo che favorisca le aggregazioni, la vicenda penosa della previdenza completare, che si dirige ad un fondo locale e che fa perdere ai lavoratori le potenzialità del fondo nazionale di categoria, indicano una corsa suicida verso il declino strutturale".
Ufficio StampaGentile direttore,
il cuore della vicenda che riguarda lo sviluppo futuro dell'aeroporto di Treviso non ha nulla a che fare con l'alternativa banale e anche fuorviante tra fusione con Save o "trevigianità" intesa come resistenza al colosso veneziano.
Già 15 anni fa la Cgil trevigiana affrontò un ragionamento sulla necessità di dare allo scalo dell'allora San Giuseppe un ruolo che favorisse la crescita. Quindi la Cgil sottolineò come la strada dell'integrazione economica, industriale e occupazionale con il Marco Polo fosse quella giusta, visto che la concorrenza fra le due aerostazioni era improponibile e sarebbe stato stupido non favorire sinergie fra due realtà che distano meno di 40 chilometri una dall'altra.
Il vero nodo, di cui i trevigiani dovrebbero essere preoccupati, è invece la debolezza, l'inconsistenza della classe dirigente politica e l'assenza della forza dei centri di potere economico. E' chiaro che alla discussione sul futuro della società partecipano in prima persona gli azionisti e non la cosiddetta società civile ed economica; ma il peso del territorio della Marca, in questa vicenda, si sarebbe potuto misurare non solo con le percentuali del pacchetto azionario. Le garanzie vere sul futuro della governance e la certezza che l'aeroporto servirà all'economia locale (se questa saprà utilizzarlo) derivano dalla capacità di attivare relazioni forti con i punti cardinali della politica e dell'economia regionale. Ma Treviso dimostra di non essere sistema, né di saperlo fare.
Immaginare una lobby trevigiana capace di premere i tasti giusti nei confronti dei soggetti che detengono il potere decisionale, di pianificazione o di regolazione, è un esercizio per ora inutile. Lo conferma il fatto che, quando si è trattato di affrontare i nervi scoperti della Finanziaria, il cosiddetto ceto produttivo si è tagliato i ponti con la politica di governo e ha preferito la piazza al confronto. Con i risultati che abbiamo tutti sotto gli occhi: se da un lato Fassino parla solo con gli industriali, dall'altro pezzi importanti dell'economia preferiscono argomentare con il vocabolario dell'opposizione (sperando nella caduta del governo e preparandosi al "dopo") piuttosto di tentare di riallacciare i fili della concertazione. La questione settentrionale non è insomma solo incapacità di capire, è anche scarsa propensione a volersi far capire.
La politica è poi l'altro, e ancora più grande, anello debole.
La Lega trevigiana, che come partito di governo nel capoluogo e in Provincia rappresenta i cittadini azionisti di Aertre, ha gestito l'affare fusione nei sottoscala, neanche si trattasse di un patto eversivo. E' toccato ai vertici di Save dichiarare, su "La Tribuna", la disponibilità ad una discussione in consiglio comunale. Senza dimenticare che servirebbe un confronto, sul piano industriale dei due aeroporti, anche con le parti sociali.
Il Sindaco Gobbo, invece, non ci ha incredibilmente mai pensato. Complicato andare avanti così.
Su questo interlocutore debolissimo Save ha quindi affondato i suoi colpi con la facilità con cui si taglia la polenta. Con il rischio che, in prossimità della fusione a Save non basterà vincere, ma vorrà stravincere.
Tutto sommato il presidente di Aertre non ha torto quando delinea le "buone ragioni" dell'operazione. Il ragionamento sui sistemi e sull'integrazione ha un senso non solo teorico che induce a uscire dalla mera caciara politica. Altro segnale di debolezza: ci si accapiglia sulla pagliuzza e non ci si occupa della trave.
A questo punto della faccenda, cioè con la fusione alle porte, quello a cui Treviso dovrebbe essere interessata è come valorizzare e non far evaporare le competenze, le esperienze e la capacità del gruppo di management e dei lavoratori (diretto e dell'indotto) che in questi anni hano fatto crescere il Canova. Non è importante che il gatto sia rosso o nero, basta che prenda il topo: che comandi Venezia, che comandi Treviso, quello che ci si aspetta dall'aeroporto è una prosecuzione sostenibile dello sviluppo del mercato che oggi ha, il low cost e i vettori postali soprattutto. E che si generi lo sviluppo delle economie dirette e indirette con il sistema produttivo, commerciale e turistico.
Se la fusione è un passo necessario, se davvero è meglio restare dentro al sistema che vendere e far perdere le tracce della trevigianità nella governance, serve uno scatto. Non per porre questioni di principio ampiamente sorpassate dall'evoluzione del processo di integrazione con Save. Ma piuttosto per provare a mettere dei paletti ragionevoli sul futuro gestionale e non buttare via il know how trevigiano costruito fino ad oggi. La Lega lo ha capito? Lo hanno capito i centri del potere economico? A chi interessa davvero lo scalo "Antonio Canova" di Treviso? E quale ruolo stanno giocando gli equilibri politici a livello regionale tra i partiti "azionisti"?
Paolino Barbiero, Segretario generale Cgil provinciale Treviso19 febbraio 2007 ore 16.00
Via Mazzini 13 (Palazzo Endimione) Valdobbiadene.
Introduce
Mariagrazia Salogni,
Segreteria CGIL Treviso - Responsabile di Zona
Comunicazioni
Paolino Barbiero,
Segretario Generale CGIL Treviso
Pierluigi Cacco,
Segretario Generale SPI CGIL Treviso
Danilo Lovadina,
Amministratore Delegato Servizi Treviso (CAAF CGIL)
Porteranno il saluto i Sindaci dei Comuni di
Valdobbiadene, Farra di Soligo, Miane
Pederobba, Segusino, Vidor.
ore 17.00 - buffet
Una ricerca dell'Ufficio Studi della Camera del Lavoro di Treviso ha preso in esame le dinamiche occupazionali registrate nella Marca tra il 2000 e il 2006.
Lavoro, più stranieri e più precari gli assunti a Treviso.
Calano il lavoro stabile, l'apprendistato e i contratti di formazione, in su somministrazione, tempo determinato e part time. Cresce l'occupazione straniera: ogni tre assunti uno è immigrato. Flessione netta dell'ingresso nel mercato dei giovani.
Sostenuta precarietà, scarsa capacità di competere al livello delle produzioni a maggiore valore aggiunto, assenza di ricerca, formazione che fornisce competenze non coerenti con il fabbisogno attuale del sistema delle imprese e con le necessità future, rischio di vaste aree di lavoro sommerso. Non è un quadro positivo quello del sistema occupazionale della provincia di Treviso come dipinto da una ricerca dell'Ufficio Studi della Cgil di Treviso, coordinato da Maria Grazia Salogni, che ha realizzato un monitoraggio del mercato del lavoro in provincia di Treviso nel periodo compreso dal 2000 al 2006.
"La preoccupazione di cui vogliamo rendere partecipi anche gli imprenditori e i politici, spiega il segretario generale della Camera del Lavoro di Treviso Paolino Barbiero, riguarda principalmente due fronti: negli ultimi sei anni a Treviso è calata l'espansione dell'occupazione giovanile; inoltre si assiste all'aumento esponenziale dei contratti atipici e a tempo determinato applicati ai lavoratori che vengono ricollocati, con un trend alla diminuzione della ricchezza delle famiglie. Su questo insiste poi l'assenza di politiche efficaci ed efficienti di riforma del welfare: non bastano gli ammortizzatori passivi e non c'è traccia di veri strumenti di riqualificazione strutturati, cioè non disponiamo dei due agenti fondamentali che temperano la flessibilità".
IL QUADRO DI RIFERIMENTO
Nel 2006 le dinamiche occupazionali mostrano una lieve inversione di tendenza rispetto al 2005, che è stato l'anno peggiore dal punto di vista del mercato del lavoro nella Marca. Sono infatti calati i licenziamenti e le procedure di mobilità, un segnale positivo che attende di essere consolidato nel 2007. Nei sei anni di riferimento dello studio, comunque, i lavoratori collocati in mobilità sono stati 16.707; di questi ben 9.146 sono usciti dalla piccola impresa e dall'artigianato e quindi si sono trovati sprovvisti di indennità.
I settore più colpito è stato il manifatturiero, con picchi negativi nel comparto moda, nel metalmeccanico e nel legno arredo. In misura minore la flessione ha riguardato l'agricoltura. Rispetto alle previsioni, è disorientante l'aumento dei licenziamenti accusato anche dai servizi, sia per quanto riguarda produzione e distribuzione che i servizi alla persona.
I CONTRATTI
Si riduce, complessivamente, tutta l'area del lavoro subordinato. Dal 2000 al 2006 sono calate infatti le assunzioni a tempo indeterminato (dal 41,3% al 31,26%), l'apprendistato (dal 15,55% al 10,51%) e i contratti di formazione, dal 2.98% allo 0,08%. Per contro aumentano i contratti di somministrazione (ex interinale), che balzano dal 6,12% al 18,14%. Uguale trend si registra anche per i contratti a tempo determinato, che oggi rappresentano più del 40%. I dati sono omogenei tra maschi e femmine.
LE FASCE DI ETA'
Nella fascia fino ai 30 anni le assunzioni passano dal 55,14% del totale al 43,50%. Aumentano invece quelle per l'insieme compreso tra i 30 e i 49 anni (dal 39,98% al 48,40%) e per gli ultracinquantenni (dal 4,98% all'8,13%).
Su questa dinamiche incidono diversi fattori: il primo riguarda l'allungamento dell'età scolare, che porta i giovani a percorsi di formazione di base più estesi e quindi ritarda l'ingresso nel mondo del lavoro.
Dall'altro si registra una tendenza allo spostamento netto dell'occupazione giovanile, anche qualificata, verso le atipicità contrattuali, compreso l'inquadramento formale come liberi professionisti in strutture dove in realtà lavorano come dei dipendenti. L'aumento delle assunzioni per quanto riguarda gli ultracinquantenni precisa i contorni dei fenomeni di espulsione e rioccupazione: aumentano i licenziamenti che riguardano lavoratori "over" e quindi, in una quadro di riassorbimento degli esuberi, sale la percentuale di ultracinquantenni nelle assunzioni.
PART TIME
Sia tra i maschi che tra le femmine si riduce il full time e cresce il part time. I contratti a meno di 20 ore settimanali passano dal 3,78% all'8,14%, mentre quelli che prevedono più di 20 ore settimanali vanno dal 6,30% al 10,83%. I full time invece arretrano dall'89,91% all'80,99%.
GLI STRANIERI
Meno italiani e più stranieri tra gli assunti nella Marca. Gli italiani sono il 72,85% (erano l'80,43% nel 2000), mentre gli stranieri passano dal 19,57% al 27,15%. Tenendo conto delle basse qualifiche professionali che si registrano tra lavoratori stranieri, che sono nella stragrande maggioranza immigrati da paesi extra Ue, e dell'innalzamento della scolarizzazione degli italiani, l'aumento delle occupazioni di stranieri e la contrazione di quelle degli italiani confermano il dato preoccupante di un sistema economico, soprattutto nella manifattura, posizionato su produzioni a intensità e non sul "valore", scarsamente interessate a addetti qualificati e che invece, per la tipologia di "bassa fascia" delle lavorazioni, necessitano per lo più di manodopera generica.
"Sulla ripresa occupazionale del 2006, commenta Maria Grazia Salogni, della segreteria provinciale Cgil e responsabile della ricerca, è evidente l'effetto degli incentivi contributivi e fiscali riguardante la manodopera espulsa negli anni precedenti. Il dato negativo è che le ricollocazioni avvengono nel quadro di rapporti non stabili, preceduti, per quanto riguarda le mobilità nella piccola impresa e nell'artigianato, da assenza di tutela economica durante la disoccupazione e dalla mancanza di percorsi di riqualificazione e accompagnamento verso un nuovo posto di lavoro. Oltre alla diminuzione della capacità reddituale, per questi lavoratori le ricadute sono molto gravi per quanto riguarda la situazione previdenziale, soprattutto per quanto riguarda le donne".
"L'impressione complessiva, ha concluso il segretario della Camera del Lavoro Barbiero, è che l'economia genera trasformazioni ad una velocità doppia rispetto ai tempi delle soluzioni offerte dalla politica: si licenzia e si assume con contratti atipici ma non c'è riorganizzazione del welfare, cresce la presenza di immigrati ma non si attivano vere politiche di integrazione, prosegue la delocalizzazione non solo della produzione ma ora anche della "testa" e non c'è politica che spinga e incentivi, anche con la riqualificazione della formazione professionale, lo spostamento verso attività a maggiore valore aggiunto. In più lo scarto fra necessità economiche delle famiglie e salari reali, specie nell'are del part time, creano il sospetto che in provincia di Treviso si annidi un significativo fenomeno di lavoro sommerso".
Leggi la ricerca:"Il mercato del lavoro in provincia di Treviso: mobilità e caratteristiche dell'occupazione nel periodo compreso tra il 2000 e il 2005".Potrebbe saltare il cambio di destinazione d'uso di parte dell'area Pagnossin, a rischio l'operazione salvataggio.
La nuova proprietà ai sindacati: possibile dietro front del Comune, che punta all'edificazione di una polo commerciale in un'altra area. Timori per il recupero del marchio e il salvataggio del centinaio di addetti della storica industria.
"Le scelte sbagliate dell'Amministrazione Comunale di Treviso rischiano di far fallire il piano di recupero finanziario e industriale della Pagnossin, con pesantissime ricadute sul piano dell'occupazione presente e anche futura in città". Lo ha detto oggi il segretario generale della Camera del Lavoro di Treviso Paolino Barbiero, al termine di un incontro con i nuovi soci del gruppo Pagnossin-Richard Ginori che, a sorpresa, hanno annunciato il possibile il dietro front del Comune sul cambio di destinazione di parte dell'area Pagnossin in zona commerciale.
Nel corso del colloquio con Cgil e Uil, la nuova proprietà ha lamentato, malgrado le assicurazioni fornite in passato, il possibile cambio di strategia dell'Amministrazione Comunale, che punterebbe invece a promuovere l'edificazione di un nuovo polo commerciale in un'altra area vicina all'aeroporto Canova. "La criticità - ha spiegato Barbiero - è data dal fatto che i nuovi soci Pagnossin non sono interessati alla nuova zona, sulla quale sostengono di non poter attivare il business che consentirebbe di salvare il marchio dal fallimento.
Oltre a questo ci è stato presentato un progetto, sul quale il sindacato era disponibile a firmare un accordo di programma, che prevedeva il salvataggio del centinaio di addetti della Pagnossin che rischiano la disoccupazione, oltre ad un progetto di espansione occupazionale complessiva di circa 700 posti proprio grazie all'insediamento polivalente. Vi era, infine, un ulteriore progetto di recupero delle attività industriali, in filiera con Richard Ginori in Toscana, con un piano di contrazione di alcuni costi di produzione che avrebbe rimesso il marchio sul mercato in maniera competitiva".
"A fronte di questa inversione di marcia decisa dal sindaco Gobbo, ha concluso Barbiero, chiediamo al Comune di Treviso se il progetto relativo ad un'altra area soddisfi i requisiti di recupero occupazionale degli addetti Pagnossin e se, in prospettiva, implichi un uguale sviluppo dell'occupazione". Domani mattina alle ore 8 presso la Pagnossin Cgil, Uil e le rispettive categorie hanno convocato una assemblea aperta per discutere della questione e decidere le eventuali iniziative di lotta.
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