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Comunicati Stampa

SETTEMBRE 2010

Archivio dei comunicati stampa della Segreteria e della Categorie.

COMUNICATO STAMPA  03_09_2010

Paolino Barbiero

Richiamo della Cgil di Treviso a Regione, Provincia e Inps per identificare e informare tempestivamente i possibili aventi diritto al sussidio regionale.
Cgil: mobilità in deroga per oltre 5.000 soggetti, ma non lo sanno.
Barbiero: “Secondo le stime della Camera del Lavoro il 70-80% dei 7.000 usciti dal mercato del lavoro non è stato ancora ricollocato. Con l’allargamento del bacino anche ai lavoratori interinali, a tempo determinato e agli apprendisti, potranno essere di più i beneficiari dell’indennità. Grave mancanza degli enti preposti: nessuna informazione verso questi soggetti che potrebbero così rimanere esclusi”.

Sono oltre 5.000 i soggetti che nella nostra provincia potrebbero beneficiare del sostegno economico derivante dalla nuova disciplina della mobilità in deroga, appena varata dalla Regione Veneto. Tra le positive novità l’allungamento a sei mesi del periodo di copertura dell’indennità per i lavoratori senza altri ammortizzatori sociali e per coloro ai quali manca non più di metà anno per andare in pensione. Ma l’allargamento del bacino, anche a interinali e apprendisti, verrà totalmente vanificato senza una indispensabile comunicazione ai possibili beneficiari, individuati grazie alla sinergia tra gli enti locali, Regione e Provincia, e l’Inps, che permetta loro, entro i 60 giorni previsti, di inoltrare la domanda al Centro per l’Impiego territoriale.” Lo ha detto oggi Paolino Barbiero, segretario provinciale Cgil di Treviso.

Entrata nel secondo anno di vita, la mobilità in deroga riconosce ai lavoratori che, a seguito della crisi, hanno perso il lavoro, sono stati licenziati o è cessato il loro rapporto a termine, una “dote lavoro”.
Vale a dire – ha spiegato il segretario provinciale Cgil di Treviso - un sostegno economico (fino ad un massimale di 840 euro erogato dall’Inps) unito al diritto/dovere di usufruire di percorsi di riqualificazione e ricollocamento professionale. Tali attività sono, nella logica delle politiche attive del lavoro, determinanti e d’ora in poi vincolanti per i soggetti di diritto: la mancata partecipazione determinerà, infatti, la perdita dell’indennità economica. Con l’Accordo quadro sottoscritto lo scorso 20 luglio da Regione e parti sociali si definiscono così i requisiti, le procedure e i tempi per accedere al trattamento di mobilità in deroga per il 2010.

I licenziati, - ha continuato Barbiero - coloro che hanno terminato il contratto nel 2010 essendo esclusi dagli altri ammortizzatori sociali, e da quest’anno vale anche per i lavoratori in somministrazione, a tempo determinato e per gli apprendisti, e chi ha esaurito la disoccupazione ordinaria e in possesso dei requisiti per accedere alla pensione entro sei mesi dal termine della mobilità, hanno diritto all’indennità di mobilità in deroga per un periodo di sei mesi.
Quattro mesi sono previsti invece per chi, nel corso del 2010, ha esaurito il trattamento di disoccupazione ordinaria o il trattamento di 12 mesi di mobilità. Di rilievo, inoltre, anche la possibilità di sospendere il pagamento del sussidio nel caso che, durante il periodo di disoccupazione, si rimedi un lavoro a termine: al termine del contratto ora si potrà tornare a beneficiare per il periodo residuo.”

Nel trevigiano, secondo le stime elaborate dall’Osservatorio della Camera del Lavoro di Treviso, i lavoratori con questi requisiti sono circa 7.000.
E di questi il 70-80% non è ancora stato ricollocato. Dunque, - secondo Barbiero – sono oltre 5.000 i residenti nella Marca, compresi gli stranieri, che potrebbero presentare domanda d’iscrizione all’elenco della mobilità in deroga presso il Centro per l’Impiego della Provincia. Questo – ha precisato Barbiero – entro il 12 ottobre per i licenziati o con disoccupazione cessata fra il primo gennaio e il 13 agosto 2010, mentre 60 giorni dalla data di cessazione, di licenziamento o dal termine del trattamento per i casi successivi al 13 agosto.”

Denunciamo – ha sottolineato Barbiero - la mancata, o quantomeno insufficiente comunicazione, dell’importante opportunità offerta oggi ad una drammaticamente non più sottile fascia di persone in stato di necessità. Anche alla luce dei corti tempi di presentazione della domanda Regione, Provincia di Treviso e tutte le parti sociali sono chiamate a informare tempestivamente tutti gli eventuali beneficiari. È proprio grazie all’attività di Veneto Lavoro e alla banca dati della Provincia, in particolare del Centro per l’Impiego, che è possibile individuare e avvisare i soggetti di diritto. Richiamiamo gli enti preposti, Regione e Provincia, di attivarsi insieme e quanto prima in questa direzione, - ha concluso Barbiero - dando indicazioni anche sulle procedure dell’orientamento e di somministrazione dei percorsi di formazione obbligatoria.

Ufficio Stampa
Per ulteriori informazioni: Hobocommunication Tel 0422 582791

COMUNICATO STAMPA  23_09_2010

Welfare

Spi Cgil: serve una vera riforma del sistema e subito i finanziamenti per la Non autosufficienza.
Cgil: ripristinare l’addizionale Irpef a sostegno della sanità veneta.
Barbiero-Improta: “Non si tocchino i patrimoni della Ipab. Sia la politica ad intervenire sui casi di mala gestione, senza togliere la linfa vitale che ancora riesce a sostenere il volontariato e, come l’Israa di Treviso, a garantire il sistema assistenziale nel territorio”.

Toccare i patrimoni delle Ipab del Veneto è una mossa scellerata, che manca di una seria e ponderata riflessione sul sistema socio sanitario e assistenziale della nostra regione nel suo complesso. Se mancano i fondi necessari si ripristini l’addizionale regionale per i redditi superiori ai 29mila euro.” Lo ha detto oggi Paolino Barbiero, segretario provinciale della Cgil di Treviso, criticando la riforma delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficienza annunciata dall’assessore regionale ai Servizi Sociali.

“Ad oggi sul problema del reperimento delle risorse c’è il rifinanziamento del Fondo regionale per la non autosufficienza. Questione grave, - ha spiegato il segretario provinciale della Cgil di Treviso - alla quale il sindacato ha sempre dato importanza e fatto sentire la propria voce. Ma non è sicuramente sottraendo alle Ipab venete il loro patrimonio che si potranno trovare i finanziamenti necessari per far andare avanti la macchina.”

“Ragionare allora su una seria riforma della nostra sanità per dare una risposta strutturale alle esigenze dei cittadini e degli utenti del sistema assistenziale diventa una priorità. Ma – ha aggiunto Barbiero - con operazioni di cassa come questa, solo camuffata da riforma, non si persegue tale obiettivo. Infatti, trasferire alla Regione il patrimonio delle Ipab, frutto di lasciti, donazioni e beneficienze private mina la loro stessa sopravvivenza ed esaurisce quella linfa vitale che riesce oggi a sostenere il volontariato e a garantire un capillare sistema assistenziale nel territorio. Se in Veneto esistono casi di mala gestione riguardante queste realtà assistenziale, vanno identificati e gli amministratori locali, a tutti i livelli, facciano il proprio lavoro per appianare tali situazioni. Questa – ha precisato Barbiero - è la forma di responsabilità che bisogna mettere in atto, non sicuramente privando quelle strutture d’eccellenza, come il caso dell’Israa di Treviso, che continuano ad erogare un servizio impeccabile agli utenti ed alla comunità.”

“L’Israa della Marca – ha sottolineato Italo Improta, responsabile delle politiche socio-sanitarie dello Spi Cgil di Treviso - è difatti un esempio di buona amministrazione, nel 2009 ha consegnato il premio europeo della rete Elisan e della Fondazione Médéric Alzheimer per il progetto innovativo presentato sul tema del “vivere con e nonostante la malattia d’Alzheimer”. Ed è anche grazie ai lasciti dei privati che riesce ancora a produrre ricerca, in un momento in cui quest’attività è relegata all’ultimo posto.”

“Togliere risorse a chi è virtuoso – ha continuato Barbiero - per ridistribuirle va contro quella logica federalista e autonomista che il nostro governo regionale ci predica quotidianamente. Se c’è uno spreco di capitali bisogna affrontare la questione lì dove c’è il problema. Ma oggi l’urgenza è anche quella di reperire i fondi, venuti meno anche a causa dell’abolizione dell’addizionale regionale Irpef, operata dal dimissionario Galan nel 2009. Ripristinare l’addizionale, almeno per i redditi superiori ai 29mila euro è un atto doveroso, una sorta d’imposta di scopo per finanziare il Fondo regionale per la Non autosufficienza e a sostegno della nostra sanità, senza dover toccare parti importanti del nostro sistema come le Ipab.”

“Che l’assessore regionale – ha concluso Barbiero - assolva il suo ruolo proponendo riforme strutturali serie, condivise con le parti sociali, in un’ottica di welfare sostenibile e diffuso, al servizio dei cittadini e soprattutto di chi ha più bisogno.”

Ufficio Stampa
Per ulteriori informazioni: Hobocommunication Tel 0422 582791

LETTERA AL DIRETTOREA  23_09_2010

Paolino Barbiero

Gentile direttore,
nei giorni scorsi su questo giornale il segretario provinciale della Cisl Franco Lorenzon ha svolto un ragionamento basato da un lato sull'attacco alla Fiom e alla Cgil e dall'altro sulla difesa della filosofia di fondo su cui mette radici l'accordo separato che ha portato al cosiddetto "Modello Pomigliano".
Sul primo punto va precisato che le opinioni diverse che nascono dal pluralismo sindacale - forte attraverso i propri iscritti di una rappresentanza solida nel mondo del lavoro - dovrebbero essere viste come un contributo migliorativo rispetto ai bisogni del lavoratore.

E va anche messo in luce, altrimenti non si capisce nulla di quello di cui si parla, che certe posizioni sono evidentemente figlie di un tentativo di sferrare un attacco decisivo alla Cgil su un terreno che non ha a che fare con il merito delle questioni, ma che si gioca tutto su un piano ideologico e che riguarda l'idea stessa di sindacato, il suo ruolo, la sua libertà e la qualità delle relazioni industriali: cioè uno dei fondamenti della democrazia.

Per quanto riguarda la questione Pomigliano, la premessa è che non si sta parlando di un accordo aziendale, come dovrebbe essere, ma del tentativo di imposizione di un modello. Lo dice il fatto che da una discussione riguardante le esigenze produttive di Fiat si è passati al modello vero e proprio, da esportare anche negli altri settori, tanto che i contenuti di quell' accordo, su cui la Fiom ha espresso contrarietà, non sono stati ricercati all'interno della contrattualizzazione di secondo livello, come sarebbe stato naturale, ma stravolgono il ruolo del contratto nazionale. Disdettare il ccnl unitario (ancora vigente) da parte delle imprese, è questo.

Viene da chiedersi se, abbandonato il piano ideologico di scontro con la Cgil che asseconda le pulsioni neo corporative che percorrono governo e parte degli industriali, ci si sia davvero posti nel merito la questione su quale debba essere la politica industriale di Fiat, quali siano le certezze produttive reali, se davvero questo modello sia funzionale al recupero di efficienza e competitività o se sia soltanto un cavallo di Troia, utile a demolire sia il sindacato antagonista che quello concertativo.

Queste considerazioni rendono chiaro come sia strumentale il teorema, purtroppo sostenuto anche dalla Cisl, secondo cui quell'accordo è per il rilancio del settore auto e la difesa dei posti di lavoro, mentre Fiom e Cgil terrebbero nel sacco diritti che non sono tali, ad esempio il lavoro al sabato oppure no, o fare sciopero in determinate circostanze, la questione dei permessi, delle votazioni e quanto altro.

Primo punto: l'orario di lavoro, in sostanza, passa da 40 a 48 ore settimanali per tutto l'anno. Accordi con scambio di alti livelli di flessibilità d'orario sono stati fatti anche in provincia di Treviso, ma su un numero di turni che non è di tre come a Pomigliano ma quattro, portando ad orari di 36 ore settimanali. E già questo è significativo di importanti differenze.
Punto secondo: il patto di scambio, costosissimo per i lavoratori, riguarda un rilancio che dovrebbe mettere in produzione gradualmente, per il gruppo, fino 6 milioni di vetture all'anno, prevalentemente di gamma media e bassa, dirette cioè a quella fascia di consumatori che in questa fase subisce maggiormente gli effetti della crisi ed ha minore capacità di spesa. Siamo sicuri che quei sei milioni di vetture all'anno, di cui 780 mila prodotte a Pomigliano, saranno veramente vendute, contando che sui mercati ricchi e più interessanti le concorrenti di Fiat entrano con modelli di gamma alta, che oltre ad offrire maggiori fatturati riescono anche a valorizzare i saperi dei lavoratori e con condizioni di lavoro molto migliori, come alla Volkswagen e alla Renault? E cosa succede dei diritti e della qualità dell'occupazione se il piano dovesse in realtà fallire, magari facendo fare allo stabilimento di Pomigliano la fine di Termini Imerese, mentre intorno si afferma il nuovo modello di produzione e di contratto generalizzato, che si conforma agli standard non certo avanzati dei paesi in via di sviluppo?

Chi firma gli accordi escludendo uno dei più grandi sindacati dei metalmeccanici in Europa dovrebbe poi chiedersi se l'esito naturale di un sistema che introduce deroghe non negli accordi aziendali di secondo livello ma nel contratto nazionale, non possa che essere la cancellazione della contrattazione stessa. Che nelle sue parti fondamentali, quella migliorativa e quella difensiva, viene svuotata di margini di manovra da un sistema neo corporativo e neo consociativo, che impone lo scambio tra una riduzione dei diritti ed un peggioramento del lavoro con il mantenimento, però non vincolante e solo ipotetico, di determinate soglie occupazionali.

Tutto questo per produrre la Panda? Evidentemente c'è altro, cioè l'idea pericolosissima che il futuro della nostra produzione industriale, anche quello dei territori a vocazione manifatturiera come la provincia di Treviso, sia tutto proiettato su un mercato di bassa qualità della produzione, bassa qualità delle competenze, bassa remunerazione (in proporzione all'orario), basse tutele collettive e individuali.

Se si sposta il confronto dal piano ideologico e di scontro voluto e cercato con la Cgil a quello della sostanza ci si deve chiedere se le evoluzioni contrattuali che qualcuno vuole modellare intorno a Pomigliano siano davvero utili al sistema Paese, o se invece non ci si trovi di fronte ad un costosissimo ultimo canto del cigno di un certo fallimentare modello produttivo, che la politica non ha intenzione di contribuire a cambiare per ragioni di mera contabilità elettorale.

Non è un problema di falsi diritti, ma di un modo ideologico, come nel caso in passato dell'articolo 18 e oggi del collegato al Lavoro, di affrontare questioni pratiche, come il rendimento ottimale degli impianti, che va raggiunto con la consapevolezza e il consenso dei diretti interessati, cioè i lavoratori. I veri nodi, oltre alla cinesizzazione del lavoro italiano, riguardano anche il procedere nel tentativo di dividere se non sfasciare il sindacato, persino a colpi di referendum governati dalla paura - il ricatto della chiusura a chi da anni è in cassa integrazione, come a Pomigliano - da cui non si raccoglie nulla. Con la prospettiva di scardinare il sistema della rappresentanza, anche quella delle imprese, con conseguenze devastanti sul piano del governo condiviso delle trasformazioni sociali e dei cicli economici. Così si mette a rischio la coesione del corpo sociale e si presta il fianco a fenomeni estremisti, per quanto minoritari, nei cui confronti ci potrebbe essere la tentazione di rispondere con metodi e strumenti autoritari, come la storia nota e meno nota della Repubblica insegna.

Paolino Barbiero, Segretario generale Cgil provinciale Treviso

LETTERA AL DIRETTORE  23_09_2010

Paolino Barbiero

Gentile direttore,
le osservazioni che Enrico Pucci ha svolto ieri sul punto riguardante l' articolo dello Statuto regionale che fa riferimento al godimento di diritti e che di fatto discrimina su base dell'essere veneto (di nascita, ad esempio) mettono in evidenza le contraddizioni di un federalismo all'italiana che, invece di voler essere un passo in avanti verso un migliore governo di questo Paese, esalta il proprio vizio di origine: cioè l'essere figlio non di una visione derivata dalla scienza della politica o della finanza, cioè costituire un mero strumento di organizzazione, quanto piuttosto il risultato di spinte ideologiche centrifughe ispirate non al bisogno di buon governo ma al prurito di essere "padroni a casa nostra", indipendentemente che questo significhi fare bene o meno.

Se il federalismo è quello del "paroni a casa nostra" diventa naturale permettersi il lusso di parlare di diritti e di accesso a questi i diritti discriminando, come nel nostro caso, i veneti da quelli considerati non veneti. Tutte le osservazioni di Enrico Pucci, sotto il profilo "tecnico" e politico, sono perfette. Mi permetto di aggiungerne una: manca, in quei progetti statutari di cui si parla il riferimento alla "Persona".
Che è veneta o può anche non esserlo ma che se è inserita nel contesto sociale di una Regione, e se è straniero deve esserlo legalmente, non importa da dove arrivi e non può essere discriminata per quanto riguarda il godimento e l'accesso a diritti, dalla scuola al welfare, dalla casa alla sanità nella misura in cui rappresenta anche un fattore di sviluppo attraverso il suo lavoro.

E poi non solo, come dice Pucci, non si è veneti soltanto di nascita ma in un certo senso lo si diventa; è anche vero che, rispetto ai valori costituzionali che tutelano il cittadino italiano, viene da chiedersi che modello di Stato e di società sia quello in cui una istituzione, in questo caso la Regione Veneto, dichiara di volersi occupare della promozione, accessibilità ed esigibilità dei diritti solo nella misura in cui questi riguardano i cosiddetti veneti, qualsiasi sia il criterio con cui questo status viene attribuito.

Creando quindi, nell'ambito dell'ordinamento della Repubblica, una situazione cha va verso l'esatto opposto di quanto avviene relativamente alla libertà di movimento delle persone all'interno dell'Unione Europea, dal momento che si rende difficile ad esempio ad un cittadino umbro che trova lavoro in Veneto, cogliere questa opportunità a meno di non accettare una sostanziale discriminazione di fatto rispetto al godimento di certi diritti, che durerà per il periodo che una stramba politica considera necessario per cominciare ad essere veneti e che lo rende, rispetto ai suoi bisogni, un cittadino di serie B.

Un residente da un anno in Veneto, se cittadino italiano, è un elettore della Regione, della Provincia e del Comune in cui risiede: perché dovrebbe "sporcarsi" le mani partecipando alla costruzione della rappresentanza politica e istituzionale di una comunità che a lui chiede voto e tasse ma che nel contempo, per principio statutario, lo discrimina e lo esclude dal godimento di diritti e prestazioni che vedrebbe invece riconosciute in uno qualsiasi degli Stati dell'Unione Europea?

Siamo alla totale accettazione e degenerazione, ed il rischio è che siano una accettazione e una degenerazione diffuse e trasversali, di quello strampalato principio "Prima i veneti" che è il caposaldo di un federalismo voluto non perché ritenuto una forma di governo più efficiente rispetto alla versione dello Stato unitario e centralista, ma che nasce da una ideologia isolazionista e separatista, intimamente secessionista e persino razzista, distruttiva della comunità nazionale e che con lo sviluppo e la promozione delle autonomie locali non c'entra nulla.

Il dramma è che nell'escalation venetista e la rincorsa a chi è più veramente federalista dell'altro si sia persa per strada, come nel caso delle proposte di Statuto regionale, la bussola il cui ago punta alla "Persona", quel cittadino italiano o straniero legalmente residente, discriminato rispetto ai suoi diritti, anche a quelli fondamentali, sulla base del fragile ed etereo criterio del luogo di nascita o alla sua appartenenza "etnica" e non a quello sostanziale di appartenenza effettiva ad una comunità.

Paolino Barbiero, Segretario generale Cgil provinciale Treviso

COMUNICATO STAMPA  24_09_2010

Rimborsi

Allarme del sindacato, migliaia i trevigiani che resteranno senza rimborso fiscale.
Cgil: tassazione sostitutiva al 10%, subito la proroga.
Barbiero: “Sacconi fa il furbo: i lavoratori non sono stati informati. E così i soldi resteranno nelle casse dello Stato. Infatti, solo chi presenterà la dichiarazione integrativa entro il 30 settembre potrà essere assoggettato all’aliquota secca che detassa il lavoro straordinario e notturno svolto anche negli anni 2008 e 2009.
Bisogna prorogare la scadenza e liquidare il credito con la dichiarazione dei redditi 2011, e fare urgentemente un avviso comune tra Cgil, Cisl e Uil con le categorie economiche e i consulenti del lavoro”

Non c’è stata la dovuta informazione sulla detassazione degli straordinari e del lavoro notturno da parte del Governo. Così saranno a migliaia i lavoratori trevigiani che non essendo a conoscenza di questa possibilità non presenteranno entro il 30 settembre la dichiarazione integrativa, e resteranno così esclusi dal diritto.” Lo ha detto oggi Paolino Barbiero, segretario provinciale della Cgil di Treviso.

I lavoratori che svolgono, e che hanno svolto nel corso del 2008 e 2009, lavoro straordinario e notturno hanno diritto ad essere assoggettati alla tassazione separata con imposta sostitutiva a cedola secca dal 10%. Una misura importante per la redditività dell’impresa e per sostenere il reddito dei lavoratori dipendenti. Una possibilità - ha dichiarato il segretario provinciale della Cgil di Treviso - che sta sfumando per migliaia di lavoratori trevigiani, sia della pmi che dei grandi gruppi industriali, che, non essendone a conoscenza non richideranno entro il termine del 30 settembre la dichiarazione integrativa indispensabile per l’assoggettamento all’aliquota fissa.”

Il vuoto di comunicazione appare allora una bieca manovra per mantenere il gettito fiscale da ristornare ai lavoratori nelle casse dello Stato. Per garantire a tutti gli aventi diritto l’ottenimento del recupero dell’imposta maggiormente versata negli anni 2008 e 2009, Sacconi non faccia il furbo, proroghi, invece, subito la scadenza del 30 settembre per la richiesta di rimborsi. Termine - ha continuato Barbiero - che non consente, oltretutto, ne alle aziende di rilasciare le certificazioni necessarie ne ai Caaf di assistere nei tempi previsti i lavoratori nella presentazione delle dichiarazioni integrative relative.”

“Inoltre, - ha concluso Barbiero - per superare le complessità burocratiche, i costi e i lunghi tempi d’attesa dei rimborsi, è indispensabile stabilire la possibilità di liquidare il credito e ottenere il rimborso delle maggiori somme trattenute per il lavoro notturno e straordinario svolto nella dichiarazione dei redditi del prossimo anno (mod.730 e unico 2011) e per questo necessario un avviso comune tra Cgil. Cisl e Uil, con le categorie economiche e i consulenti del lavoro che definisca le modalità e i tempi per consegnare ai lavoratori la documentazione utile al recupero di centinaia di euro, che in tempo di crisi sono un ulteriore e indispensabile aiuto alle famiglie.”

Ufficio stampa.
Per ulteriori informazioni: Hobocommunication Tel 0422 582791

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